scur-rì-le :Volgare, sguaiato, specie relativo alla comicità
voce dotta recuperata dal latino scurrilis, derivato di scurra ‘fannullone, buffone’, di probabile origine etrusca.
Questa parola è uno strumento davvero utile, con un significato tanto preciso quanto articolato e intenso.
Nasce da una figura molto eloquente, quella del buffone; per la verità il latino scurra descriveva il buffone in senso figurato: propriamente era il fannullone, il perdigiorno, e solo per estensione diventava il parassita e poi il buffone. Per intenderci, non siamo davanti a uno di quei mitici giullari del medioevo, liberi come la loro arte, di quelli consacrati nell’opera di Fo: di questo antico genere di servo buffone (che non manca nemmeno oggi) lo scurrile immortala l’inclinazione determinata a una comicità volgare, sguaiata e compiaciuta. Il recupero dotto di questa parola ci suggerisce anche che la trivialità, nello scurrile, non è riguardata in maniera neutrale: lo scurrile è giudicato con sprezzo, o almeno biasimo.
La simpatia esasperata del comico scivola nella scurrilità; l’amico scurrile, nonostante il nostro affetto, va tenuto lontano dalle occasioni formali; durante la cena, al sesto bicchiere, iniziano a rimbalzare barzellette scurrili; e la persona che abbiamo appena conosciuto, convinta di generare complicità, si abbandona ad apprezzamenti scurrili.
Una parola potente e coraggiosa nella sua esattezza: inchioda con eleganza il volgare nella sua dimensione comica, dimensione in cui naturalmente la licenza è più ampia, e in cui quindi la volgarità si sa sferrare con maggior forza.