or-bà-re (io òr-bo) = Privare; accecare
dal latino orbare, derivato di orbus ‘privo’.
Siamo davanti a una parola decisamente seria e tornita, anche se il ramo più consueto del cespuglio a cui appartiene – l’orbo – è usato in senso molto specifico e con toni volentieri ironici.
‘Orbare’ significa privare; per quanto sembri un significato molto vasto, si tratta in particolare di un privare doloroso, spesso associato alla perdita di persone care: non a caso è parente (lontanino) del termine ‘orfano’, giunto dal greco. La ricercatezza di questo verbo conferisce una delicatezza quasi eufemistica alla privazione: si può parlare dell’attentato che orba molte famiglie dei loro amati, abbiamo particolare cura dell’amico da poco orbato del suo cane, e il terremoto ha orbato la città di una parte importante del suo patrimonio artistico.
Già in latino – pare per la ricorrenza di espressioni del genere di orbus lumine – questo privare viene associato in modo speciale alla vista, tanto che l’orbo e l’orbare prendono i sensi assoluti di ‘cieco’ e ‘accecare’. Ma in questo senso, proprio per la sua inclinazione eufemistica che lo presta facilmente all’ironia, il verbo ‘orbare’ sa trasgredire la dignità rispettosa: vaticiniamo che lo stare appiccicato a uno schermo finirà per orbarti, persi di nuovo gli occhiali di nuovo siamo orbati, e l’apparizione della persona che gli fa battere il cuore orba l’amico, che inizia a inciampare dappertutto.
Una risorsa fine e versatile, ora delicata, ora ruvida.