SIGN.
Antico sacerdote romano; mangione, crapulone, ghiottone
dal latino [èpulo], derivato di [èpulum] ‘banchetto’.
Volendo ipotizzare la continuità fra i significati di questa parola, si potrebbe indovinare che ai tempi dell’antica Roma gli alti sacerdoti fossero fra i pochi che si potevano permettere di essere dei ghiottoni, ma saremmo fuori strada. Per seguirla dobbiamo scantonare fra qualche vicolo cieco in una medina un po’ intricata.
Nel 196 a.C. fu istituito a Roma un nuovo collegio sacerdotale, quello degli epulones (all’inizio erano tre sacerdoti, poi aumentarono e diminuirono fino ad attestarsi a sette, i septemviri epulones). Costoro si occupavano di organizzare banchetti pubblici e solenni durante le festività religiose: questi banchetti erano parte del sacrificio votato al dio, e si ricorda in particolare quello annuale dedicato a Giove Capitolino. Ebbene, in effetti questi sacerdoti erano tecnicamente dei banchettatori, ma nel senso principale organizzativo, avevano la responsabilità liturgica del banchetto; poi magari alla prova dei fatti si saranno pure riserviti, ma non è questo il punto, non è dai sacerdoti romani che si arriva all’epulone-mangione.
Il Vangelo di San Luca riporta una parabola nota al grande pubblico come “La parabola di Lazzaro e del ricco epulone”. Il protagonista positivo della parabola (curioso, di solito i protagonisti delle parabole sono anonimi) è Lazzaro, un mendicante appestato che per sostentarsi attende gli scarti dei banchetti quotidiani di un riccone stando alla sua porta. Muoiono, e il senso della parabola s’incardina sul giudizio particolare di salvezza e dannazione, sull’abisso invalicabile che separa dopo la morte i salvi e i perduti. Ora, quel riccone non è un epulone propriamente detto, non è un sacerdote romano. Solo che, secondo il latino della parabola, il riccone epulabatur cioè ‘banchettava’. E in questo senso è saltato fuori che fosse un epulone. questa derivazione evangelica spiega perché qui una figura come quella del ghiottone abbia caratteri specialmente negativi – dopotutto i mangioni sono volentieri gioviali, conviviali, di buona compagnia, ma qui il nostro è inchiodato all’inferno senza speranza. L’epulone non è rubizzo e giocondo, a stento gode.
L’epulone – ed eccoci arrivati – è un nome ricercato, e la sua ricercatezza non fa che affilarne il giudizio: egli ama cibi ghiotti, raffinati, abbondanti in una misura eccessiva, che lo domina. La sua è un’incontinenza tanto vorace quanto vacua, spenta, ed è segno di una condizione più ampia: la pretenziosa accademia consiste in una congrega di epuloni, il diplomatico epulone si fa lisciare con facilità, e disorienta sentire la morigeratezza predicata dall’epulone. Una parola che forte del suo suono grasso si fa intendere anche da chi non la conosca, e che può davvero impreziosire e rendere incisivo un discorso.